impossessamento di minore: un reato molto diffuso, e "generosamente" consentitoIn Primo Piano
19/06/2010 - 01.22La Famiglia, antropologicamente, fa da sfondo a tensioni di varia natura. Queste possono risolversi in semplici “conflitti di coppia”, oppure dar luogo a fatti penalmente rilevanti. Naturalmente, tali fenomeni possono realizzarsi in qualunque tipologia di relazione interpersonale, ma divengono “specifici” allorquando realizzati in seno ad un gruppo di soggetti legati da una relazione di parentela, matrimonio o convivenza. Sebbene il legislatore italiano negli ultimi anni abbia posto particolare attenzione nei confronti di reati commessi “da e nei confronti” di minori, l’attuale panorama normativo presenta alcune lacune. Giuridicamente il Minore è “incapace”, ovvero è un soggetto che acquisisce la capacità di agire con il raggiungimento della maggiore età. Da ciò consegue che il minore, in questi casi, non ha la capacità processuale per domandare salvaguardia. L’oggetto giuridico del reato è dunque riconducibile all’esercizio della potestà genitoriale, o tutelare. Non si tutela la persona, bensì l’esercizio dell’autorità familiare ed i connessi poteri di vigilanza e custodia. Ulteriore conseguenza negativa è data dalla connotazione di reati perseguibili a “querela di parte”. Dunque se l’adulto ( genitore/tutore/curatore) decide di non sporgere querela o di non informare le Autorità, il minore rimane “abbandonato” a se stesso. Egli potrà essere manipolato, violato nella sua sfera psichica, privato dell’affetto dell’altro genitore, ma a ciò non seguirà alcuna tutela giuridica, nessun intervento d’ufficio, nessuna obbligatorietà dell’azione penale. scegliendo solo alcuni tra i tipici comportamenti criminosi che vorremmo disciplinati, non esiste una vera e propria norma che sanzioni un soggetto o un genitore che:
Il prodotto penalmente rilevante di queste azioni, la cui sostanziale impunità viene favorita da un evidente vuoto normativo, può essere definita come IMPOSSESSAMENTO DI MINORE O FILIALE, ossia “le azioni di uno dei due genitori o del tutore anche temporaneo che, con dolo o negligenza, mette in atto dei comportamenti allo scopo di escludere fisicamente, psicologicamente ed affettivamente l’altro genitore, o entrambi, dalla vita della prole. L’impossessamento si realizza attraverso strategie volte a coinvolgere e catturare il minore in uno stato di continua soggezione, anche fisica, che ne influenza negativamente lo sviluppo cognitivo, emotivo e affettivo”. E’ bene notare che, se tali azioni sono fortemente tipizzate nell’ambito familiare, tuttavia è frequente che il medesimo prodotto, sia pure sostenuto da strumentali esigenze di tutela del minore e originato da differenti modalità di attuazione, si riscontra in diversi casi condotti in maniera poco ortodossa da alcune strutture di accoglienza e da alcuni operatori dei servizi socio – sanitari che si occupano di famiglie e minori. Orbene, è pacifico che tali strutture e tali professionalità compiano il loro ufficio con coscienza e senso di responsabilità, ben conoscendo quali siano le conseguenze che loro errate valutazioni possono causare nella vita delle persone. E’ altrettanto pacifico, però, che le norme che regolano l’intervento di tali strutture, non prevedendo l’esercizio del contraddittorio (Tribunale per i minorenni), né l’obbligo di documentazione audio/video delle osservazioni (Servizi Sociali), hanno prodotto negli anni un numero significativo di episodi in cui, allorquando tale senso di responsabilità è venuto meno, giudizi superficiali e decisioni arbitrarie hanno segnato per sempre la vita di intere famiglie. L’uso e, a volte, l’abuso dei poteri conferiti dall’art. 403 del codice civile agli operatori sociali, ha prodotto casi che per la loro gravità hanno interessato per settimane la cronaca giudiziaria e gettato enorme discredito sull’operato dei servizi sociali e delle strutture ad essi collegate. La casistica è numerosa e ben articolata in tutto il territorio nazionale, e il suo forte impatto emotivo nel comune sentire dei cittadini continua a produrre una diffusa paura verso gli operatori sociali. L’impossessamento filiale non è un naturale portato delle sole separazioni c.d. giudiziali, poiché anche le separazioni c.d. consensuali non sono prive di conflitti. Ciò è testimoniato dai numerosi interventi dei giudici tutelari chiamati a dirimere questioni interpretative riguardo alle modalità di esecuzione degli accordi medesimi. E, a ben vedere, questo accade poiché tali accordi – sebbene frutto di consenso – risultano comunque non equilibrati. Spesso tensioni e contrasti irrisolti della coppia si trasferiscono sul “possesso” dei figli divenendo strumento di recriminazione verso il compagno o la compagna. Gli interessi del figlio, i suoi reali bisogni, le sue aspettative, la sua personalità, divengono oggetto di contesa, portata talvolta fino alle estreme conseguenze. Inizia così la costante denigrazione della figura dell’altro genitore che diviene agli occhi del figlio persona equivoca, disturbata, incapace. La conseguenza più tragica sta, dunque, nel dissolvimento del rapporto con il genitore così pesantemente contestato. Uno dei due genitori mette dunque in atto un processo di programmazione, di brainwashed children (Gardner, 1992) nei confronti dell’altro genitore, operando una “distorsione relazionale” (Gulotta, 2008), per mezzo della quale i sentimenti del bambino verso uno dei due genitori vengono mistificati e manipolati dall’altro. Questi costanti comportamenti di alienazione, percepiti dal bambino come un ricatto strutturato nella vita di ogni giorno, lo convincono che potrà essere amato e curato dal genitore manipolatore solo se sente e pensa come lui/lei. L’indottrinamento deve dunque parte del suo successo al principio di lealtà, che il minore sviluppa nei confronti del genitore programmante, il quale chiede al bambino di condividere i propri sentimenti avversi nei confronti dell’ex coniuge. (Gulotta, 2008). Tale categoria di genitori annovera solitamente persone immature, incapaci di raggiungere una indipendenza psichica dalla propria famiglia d’origine e strutturanti un rapporto simbiotico con i propri figli, ai quali impediscono l’indipendenza e l’acquisizione di autonomia. Il bambino, non avendo ancora sviluppato appieno le capacità di pensiero ipotetico-deduttivo, faciliterà l’attività di programmazione del genitore alienante, il quale riuscirà ad influenzarne le successive fasi evolutive. Questa forma sottile di sfruttamento dei minori, oltre a causare l’insorgere della Sindrome di Alienazione Genitoriale (PAS - Parental Alienation Syndrome), può portare a conseguenze molto pericolose per il benessere del bambino fino all’esordio di vere e proprie patologie (Malagoli, Togliatti, Franci, 2005). Pertanto occorre modificare concretamente, alla luce di tali considerazioni teoriche, un quadro legislativo che ormai si dimostra inadeguato. Fonte: Redazione Non ci sono allegati per questa notizia Torna indietro Questa Notizia è stata letta 6200 volte
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10.01 di lunedì 21/06/2010 | ||
scritto da Davide | ||
Buongiorno a tutti, posso solo dire che nel caso mio e dei miei figli, recentissimamente e di certo "controcorrente" i Tribunali qui a Trieste mi hanno favorevolmente stupito per le loro azioni illuminate (non ci sono altri termini adeguati) a tutela dei minori ed in subordine del loro padre, valutando correttamente il reale bene dei minori ed escludendo tutte le gravi falsita´ e le manipolazioni poste in essere dall´altro genitore, utilizzando i magistrati al massimo consentito le norme vigenti. Speriamo sia un buon inizio, sicuramente e´ un ottimo esempio che mi sembra corretto segnalare. Grazie dello spazio concessomi. | ||
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09.52 di lunedì 21/06/2010 | ||
scritto da Per le madri separate e/o divorziate | ||
queste sono tutte fandonie inventate dai padri piagnoni... | ||
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16.40 di sabato 19/06/2010 | ||
scritto da Alfiero Klain | ||
Perfettamente d´accordo, non credo si possa esprimere meglio il quadro di questa situazione, sarebbe urgente che il legislatore provveda a colmare questo vuoto, per il bene primario dei minori coinvolti... | ||
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