A Roma si calpesta il diritto di ascolto del minore. Un caso concretoNews e Comunicati Stampa
09/11/2013 - 19.34Roma, caput mundi. Nella Capitale il cittadino pensa di avere il massimo delle garanzie di diritto e la più elevata qualità della produzione giuridica, se non altro per le professionalità messe in campo e per la qualità delle competenze e del confronto. Invece proprio qui abbiamo una Giustizia a pezzi, con la testa abbassata e nascosta tra le gambe. Quella minorile, in particolare, appartiene ad un mondo a parte, in cui non valgono più i principi e i valori del diritto, ma umori, sensazioni, cultura di provenienza e soprattutto capacità di adattarsi con spirito servile. La coscienza pulita mal digerisce una decisione ingiusta, come nel caso che descriviamo. Nel 2007, dopo tre anni di matrimonio, una moglie decide di mettere fine al matrimonio e pretende di far andare fuori di casa il marito, aprendo contro di lui una guerra fatta di false denunce sparse in diversi posti di polizia di Roma. Il conflitto, comunque, porta dopo alcuni mesi alla separazione consensuale, e il bambino viene collocato presso la madre. Nell’accordo, regolarmente omologato, risultano prestampate le modalità di visita e di incontro. Nonostante la presenza affievolita, il padre scopre che il figlio è affetto da malattia rara. Ricoveri, accertamenti e interventi, consigliano la donna a rallentare le aggressioni, anche perché il minore pretende espressamente la presenza del padre. La madre, però, ricorre al Tribunale dei Minori di Roma richiedendo l'affidamento esclusivo e la decadenza della potestà genitoriale di lui. Il Tribunale, anche con il parere favorevole del P.M, nel novembre 2011 accoglie le lamentele della madre e ordina il cosìddetto percorso protetto al padre e al figlio. Durante gli incontri il minore manifesta una volontà diversa e contraria alla decisione, certificata dai servizi. Il padre, dopo aver denunciato la delicata situazione di salute del, si rifiuta di continuare il percorso e invita il Tribunale ad ascoltare il minore e a decidere secondo la sua volontà. Il 16 luglio 2012 il Tribunale, dopo tre incontri e 10 mesi di istruttoria, emette una decisione che sconfessa la ricorrente, il P.M e una dirigente dell'ASL, prestatasi ad assecondare quello che sembrerebbe un piano ben organizzato. Viene rinvenuta negli atti una lettera dalla quale si evince che la madre del bambino e la psicoterapeuta dell’ASL si conoscevano “carissimamente“, e tutto il castello costruito artificiosamente crolla. Il Tribunale decreta che sono insussistenti i presupposti su cui è stato poggiato il ricorso, restituisce padre e figlio alla normale vita di relazione, ma non si esprime sulla richiesta formale del padre di ascoltare il minore e neppure motiva il rifiuto o il silenzio. La madre, riproponendo gli stessi motivi respinti dal Tribunale, si appella alla Corte d'appello Sez. Minorenni di Roma, il quale, calpestando la decisione del Tribunale e cancellando una istruttoria durata oltre dieci mesi, contro il parere sfavorevole del P.M accoglie le lamentele della ricorrente, con un ragionamento, fuori da ogni logica giuridica, di chiaro umore “interiore”. Il Decreto viene emesso il 15 gennaio 2013, 15 giorni dopo l'entrata in vigore della legge 219/2012, e dispone l'affidamento esclusivo in favore della madre e, nuovamente, incontri in forma protetta per padre e figlio. Il padre si sottopone al nuovo percorso, affidato per l'esecuzione ai Servizi sociali del Municipio II di Roma. Questi si attivano solo dopo le sue diffide, giustificando il ritardo con la motivazione che il Comune non ha la disponibilità di locali per lo scopo. Vengono reperiti locali di una cooperativa che” opera” intorno al Comune e finalmente dopo tre mesi (interminabili) si parte. Scoppiano contraddizioni, incompetenze e irregolarità procedurali. Le assistenti sociali ignorano il procedimento amministrativo e mancano di nominare il responsabile dello stesso. Nella confusione dei ruoli e delle competenze viene redatto un calendario di incontri, durante i quali padre e figlio vengono messi a giocare in una stanza di un appartamento. Durante i giochi il bambino parla, manifesta le sue idee, facendo comprendere all'educatore di turno la sua volontà e i sentimenti che lo legano al padre. Gli educatori relazionano la verità in oltre venti incontri, che confermano la decisione del Tribunale. Resosi conto che quel percorso era di disturbo al figlio, il padre comunica di non voler continuare con quelle modalità senza la garanzia scritta che quel percorso non sarebbe stato di pregiudizio al bambino. A questo punto “scappano” tutti, e nessuno vuole rilasciare la dichiarazione richiesta, scaricando responsabilità e competenza. Nessuno da certezza della regolarità formale degli atti compiuti, del procedimento avviato e della idoneità di locali messi a disposizione dalla cooperativa. Organi ed Autorità si chiudono in un mutismo impenetrabile e così fino ad oggi. ciò dal 27 giugno. A ben vedere, si tratta di una farsa istituzionale-giudiziaria, finita miseramente sul palcoscenico del complotto e dell'accanimento in nome di una triste questione di genere. Il collegio della Corte di appello di Roma, dopo aver emesso il provvedimento in forma vaga ed indeterminata, lo ha così delegato ai Servizi sociali e assegnato a due assistenti che nella confusione burocratica hanno aggravato il procedimento, portandolo in un vicolo cieco. L'apparato di settore del Municipio II ha cercato di correre ai ripari con atti e documenti maldestramente “aggiunti” per rattoppare il buco. La magistratura, partecipante, è stata informata durante tutta la fase del procedimento. La legge individua le responsabilità e prevede gli obblighi. Si parla molto in questi tempi di garanzie e di legalità, ma nella materia dei minori e della famiglia regna la più grande confusione e nessun Organo istituzionale di controllo amministrativo e giudiziario interviene per la salvaguardia dei diritti e della dignità del minore. Eppure sono stati documentati fatti e richiamati documenti che riguardano la vita e il futuro di un minore affetto da malattia rara. Alla Corte di Appello - sezione minorenni - di Roma è sfuggito che il 1 gennaio del 2013, 15 giorni prima della sua decisione, con l'entrata in vigore della legge 219/2012 recante disposizioni in materia di figli naturali, all'art 1 comma 8, punto 2 è stato aggiunto l'art 315 bis il quale stabilisce cheil minore, che abbia compiuto gli anni 12 e anche di età inferiore, deve essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. Questa legge, convalidando i principi innovatori della legge 54/2006, ha finalmente sancito il diritto soggettivo all'ascolto del minore, cioè della persona sulla cui pelle si fanno strategie e si azzardano i bizantinismi logico-giuridici. Il minore, invece, non è stato ascoltato e nessun giudice si è espresso sulla sua capacità di discernimento. Se è stata una ingenua dimenticanza, questa pesa gravemente sul provvedimento e sul procedimento in cui sono state assunte decisioni sulla sua vita e sul suo futuro.
avv.Gerardo Spira Fonte: Redazione - Gerardo Spira Non ci sono allegati per questa notizia Torna indietro Questa Notizia è stata letta 2281 volte
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